giovedì 30 aprile 2020

Rischio Vesuvio e Campi Flegrei: società a rischio...di MalKo

Drawn by MalKo


Quando si scrive un articolo ad oggetto il rischio vulcanico, soprattutto se trattasi del Vesuvio o dei Campi Flegrei, bisogna usare cautela per non essere rimbrottati dalle cosiddette istituzioni competenti, che mal tollerano certe dissertazioni giudicate indigeste dagli organi dell’ordine costituito. In realtà anche notizie geologicamente forti, difficilmente guastano il sonno a una popolazione tutto sommato e generalizzando, abbastanza indifferente alle potenzialità distruttive sopite nel sottosuolo, almeno fino a quando queste non vengono percepite dai sensi.

Non è raro che gli enti preposti al monitoraggio dei vulcani, rassicurino paventando il controllo della situazione geologica crostale chilometrica, che in realtà è imperscrutabile e sfugge a qualsiasi analisi evolutiva di taglio deterministico. Le scelte istituzionali vanno quindi nella direzione del non allarmare per non giustificare le mancate scelte amministrative della classe politica, che secondo logica dovrebbero andare nella direzione della prevenzione delle catastrofi, atteso che siamo ben lontani dalla previsione degli eventi vulcanici.

La recente pandemia del coronavirus ci ha offerto innumerevoli casi in cui il cittadino ha assistito alla diatriba scientifica tra rappresentanti di importanti organizzazioni internazionali e singoli ricercatori, che hanno detto tutto e il contrario di tutto, con una verità che a volte è stata rinvenuta solo all’interno di pratiche di interpolazione dei dati e delle notizie messe a disposizione dai media.

Per tempo abbastanza sconsiderato ci siamo dovuti sorbire ad esempio la pantomima sulle mascherine con giustificazioni veramente astruse sul chi le doveva utilizzare e chi doveva escluderle. Nessuno ha osato profferire la frase magica della serie tutti dobbiamo utilizzarle, perché così sputiamo poco e ingurgitiamo idem: non c’è stato il coraggio, e non l’intelligenza, di dire che non ce n’erano in commercio a sufficienza neanche per quelli della prima linea, e sembrava poco professionale in epoca digitale, dover dire copritevi a questo punto come potete, con sciarpe e foulard e passamontagna. Le oramai familiari fascette quadrangolari di tessuto, erano e sono un elemento di difesa passiva che ben si sposa col mantenimento del distanziamento sociale.

Se uno scafandro magari pressurizzato ci dona una protezione da virus del 100% e un fazzoletto di carta poggiato sulla superficie oronasale magari appena dell’1%, va da sé che sistemi sempre più avvolgenti e spessi e idrofughi che consentano in ogni caso la respirazione, aumenteranno proporzionalmente il nostro sistema di protezione delle vie aeree, che trae beneficio già col tenere la bocca chiusa, atteso che il naso ha una pendenza verticale. D’altra parte si è fatto un gran parlare delle mascherine professionali (ffP2) normalmente usate contro le polveri, e per questo dotate di una valvola che in genere non partecipa alla filtrazione dell’aria in uscita che deve essere a flusso libero, per non affaticare l’utilizzatore o spostare la maschera dalla superficie facciale… buon per lui ma non per quelli che gli stanno intorno se è un asintomatico.

Gli occhi che pure possono essere una strada di contaminazione da aerosol, possono essere protetti ove occorra, con occhiali avvolgenti o paratie di plastica trasparente. Le mani ovviamente o si proteggono con guanti o si lavano spesso e accuratamente, soprattutto quando si arriva a casa o in ufficio o in mensa o al bagno, evitando nel frattempo quei gesti abitudinari che ci portano a toccare il viso.

Le altre parti del corpo che possono magari offrire una blanda e poco durevole superficie d’appoggio al virus, possono essere risparmiate se tutti utilizzano le mascherine perché in tal caso è difficile che si venga aspersi dagli aerosol espulsi con la respirazione, il parlottio, tosse e starnuti.

Nel caso del rischio vulcanico, il pericolo è rappresentato dalle quantità e dalla qualità dei magmi incassati nella camera magmatica sotterranea, e che possono essere espulsi in pochissimo tempo e a distanze notevoli con le colate piroclastiche e la pioggia di cenere e lapilli. Ebbene, per siffatto pericolo insito anche nei vulcani napoletani, non ci sono sistemi di protezione individuali che possano difenderci o che ci consentano di convivere con la fenomenologia vulcanica in atto, che comprende impatto termico e meccanico di tutto rilievo. Non c’è indumento o attrezzo o anche strutture collettive di difesa che possano ripararci e proteggerci dalle travolgenti e fulminanti nubi ardenti.

Così come succede per il coronavirus, pure il rischio vulcanico a parità di esposizione può essere più nocivo per le persone notevolmente anziane. Ovviamente e solo perché queste ultime hanno una capacità motoria non sempre adeguata a una condizione ambientale che potrebbe comprendere magari lunghi percorsi appiedati per allontanarsi dalle zone rosse: l’allontanamento con mezzi rotabili invece, non comporta differenziazioni del rischio per fascia di età. Gli anziani e i bambini subirebbero significativi danni fisici in caso di evacuazione con cenere in sospensione. Questo prodotto sottile che potrebbe interessare le prime vie aeree e gli occhi, ha una certa componente vetrosa e acida da cui sarebbe assolutamente necessario proteggersi, per non subire danni alla salute anche severi. Va da sé che è una condizione quest’ultima difficilmente verificabile, perché l’evacuazione delle zone rosse vulcaniche avverrebbe prima dell’evento, grazie al controllo paventato dalle autorità scientifiche sul sottosuolo dinamico, e alla loro capacità di emanare un’allerta rossa almeno 72 ore prima dell’evento, col premier che pigerebbe poi il pulsante di allarme con cognizione di causa.

Tracciando ulteriori spunti di riflessioni col rischio epidemico, alcuni scienziati auspicherebbero, a proposito della fase 2 altrimenti detta di allentamento delle misure restrittive di isolamento sociale, meglio dire di distanziamento fisico, la definizione di una soglia numerica che indichi senza influenze politiche la situazione oggettiva di rischio esistente. Una condizione che in assenza di cura e vaccini viene automaticamente spostata e collegata al numero di posti disponibili nelle terapie intensive provinciali, regionali e nazionali. Probabilmente questo risultato si otterrebbe per diramazione indiretta del dato statistico evincibile dal numero di contagi giornalieri e settimanali.

In realtà anche per i livelli di allerta vulcanica, si è lanciata l’idea di stabilire i valori limiti rilevabili dal monitoraggio vulcanico, oltre i quali bisogna con un certo automatismo passare a un diverso livello di pericolo eruttivo. Un’operazione difficilissima, perché le eruzioni vulcaniche del Vesuvio e dei Campi Flegrei sono di numero esiguo. Tra l’altro, mentre dai depositi piroclastici è possibile determinare il numero degli eventi e l’intensità e la vastità delle eruzioni anche a distanza di molti anni, difficilmente è possibile risalire ai fenomeni precursori, ai cosiddetti prodromi che hanno caratterizzato la fase pre eruttiva del vulcano, soprattutto in tempi dove non c’era la narrazione scritta degli eventi. Quindi, per lo scienziato non ci sono elementi di sicuro riferimento, atteso pure che ogni eruzione è un parto geologico a sé stante e mai sovrapponibile ad altri per misura e sintomi. Ergo, se non è possibile stabilire soglie, sostanzialmente la materia è ancora piuttosto sconosciuta per la marea di variabili che seco porta.

Nel caso dei livelli di allerta vulcanica, generalmente questi possono passare dal verde al giallo che corrisponde all’attenzione, attraverso passaggi tecnici amministrativi che non prevedono il coinvolgimento diretto e decisionale del premier: molto in questo caso lo fa il capo dipartimento della protezione civile. L’area flegrea è sottoposta a questo livello di allerta (attenzione). Le fasi di pre allarme e allarme invece, per i risvolti che implicano amministrativamente, economicamente e strategicamente sui territori coinvolgibili a livello nazionale, necessariamente prevedono l’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri. Ad ogni passaggio di livello di allerta vulcanica allora, corrisponde quindi una fase operativa preparatoria, che può arrivare all’evacuazione preventiva della popolazione che va sottratta in anticipo al pericolo.  


Nel campo della pandemia, l’autorità scientifica alla stregua di quella vulcanica non dovrebbe indicare alla popolazione cosa deve fare: deve limitarsi a rappresentare nel modo più preciso possibile, l’essenza e le caratteristiche del pericolo virus. E ancora i metodi per prevenirlo e affrontarlo, prospettando i dati del contagio e gli scenari epidemici più allarmanti e non quelli più gestibili: pare che da questo punto di vista ne siano stati prospettati una novantina.

Gli organi di governo, raccogliendo queste informazioni, ancorchè tenendo in debito conto strutture e infrastrutture e medicamenti e vaccini e strumenti di protezione individuali e collettivi, opererà le opportune valutazioni sul da farsi anche alla luce delle necessità primarie della Nazione. Sarà sempre compito del governo, magari sentito il parlamento, di elaborare misure e comportamenti che tutta la popolazione o parte della popolazione deve adottare, secondo schemi anche di taglia costi benefici, che non deve essere un ordinario modus operandi, bensì una misura straordinaria da varare esclusivamente in assenza di alternative possibili, partendo dal principio dell’equità dei diritti per ogni singolo essere vivente, atteso che diamo dignità anche agli embrioni umani e agli stati vegetativi…

Si è detto ma non detto che nella prima fase emergenziale che ha saturato le terapie intensive di alcune regioni, in qualche caso, avendo a disposizione un solo tubo adatto all’ossigenazione meccanizzata, si è dovuto sacrificare qualche vecchio in là con gli anni in favore di persone più giovani. Non è assurdo ritenere che la situazione clinica poteva anche capovolgersi, e la frettolosa discriminazione iniziale poteva essere fatale a entrambi. La notizia comunque sarebbe da confermare...

Se questo è il risultato dell’approssimazione e della scarsa visione del futuro da parte della nostra classe politica e dirigente, temiamo fortemente che in caso di allarme vulcanico, se dovessero saltare gli schemi elaborati dalla Regione Campania e dal Dipartimento della Protezione Civile, ne vedremmo delle belle circa gli aiuti da prestare a una popolazione fatta anche di soggetti fragili…

Il 26/04/2020 uno sciame sismico ai Campi Flegrei ha contato 83 terremoti con 34 scosse di magnitudo superiore allo zero. La scossa più forte è stata di 3.3 Md e si è verificata alle 02:59. Tale terremoto è stato classificato il più forte dal 1985 (dati Osservatorio Vesuviano). Il 27/04/2020 invece, lo sciame sismico si è presentato al Vesuvio con oltre trenta eventi col più intenso con una magnitudo di poco superiore al valore 2. Qualche perplessità è nella quasi contemporaneità degli sciami.

Per lo scienziato consulente, la soluzione migliore per la pandemia è chiudersi in casa e attendere risoluzioni farmacologiche o naturali di debellazione del virus. Per lo scienziato consulente del rischio vulcanico, la soluzione migliore è quella di puntare all’allontanamento della popolazione esposta prima dell’eruzione vulcanica. In entrambi i casi, è l’autorità di governo che dovrà mettere insieme i tasselli utili per le decisioni. Ne è un esempio la tragedia di Chernobyl, verificatasi il 26 aprile del 1986. Tremò il mondo: in quelle condizioni di contaminazione radioattiva, quale equipe di scienziati avrebbe mai potuto decretare che c’erano le condizioni per i circa 1000 soccorritori di intervenire direttamente sul fuoco atomico? Eppure l’autorità politica varò l’azione di contenimento manuale dell’incendio e della grafite radioattiva, per evitare una tragedia planetaria, e che costò tante morti eroiche.

Un elemento che abbiamo imparato ad apprezzare per l’enorme potenzialità che ha pure in tempi di catastrofi è lo smartphone o similari quali mezzi di comunicazione portatili e geo localizzabili. Calcolando le necessità di funzionamento per tale tecnologia, racchiuse sostanzialmente in una minima fonte energetica e nella connessione dei ponti e antenne radio, dotarsi singolarmente di un pannellino solare che produca bricioli di corrente, così come sviluppare la rete satellitare d’interconnessione che ci liberi dai sistemi basati su tecnologia di superficie, servirebbe ai soccorsi ma anche a mantenere gli affetti e in ultima analisi alla democrazia pure in una condizione estrema e catastrofica.