La Russia ha invaso l’Ucraina il 24 febbraio del 2022. Ne è
scaturita una guerra che sta distruggendo metodicamente l’Ucraina, con l’orso
russo che non nasconde le sue mire espansionistiche su quella parte di terra
che dice che gli appartiene. Il misfatto ha consolidato i paesi occidentali, in
tutti i casi senza unanimità di consensi. Il conflitto alberga molto vicino
alla casa europea, quindi tutti auspicano la cessazione delle ostilità, anche
se l’arma per raggiungere l’ambito risultato dovrebbe essere la rinuncia da
parte degli ucraini di qualsiasi rivendicazione territoriale sui territori
fagocitati inopinatamente da Putin. I pacifisti dicono che sono pronti a sopportare
questa condizione gradita agli assalitori: agli assaliti un po’ meno.
Sui media vengono diffusi, da una parte e dall’altra,
filmati che attestano la conquista o la resistenza, così come la cattura o la
morte dei soldati di entrambi gli schieramenti. Non pochi sono quelli che
plaudono ai successi bellici dell’ucraini e meno a quelli russi. In realtà la
tristezza delle immagini che ci raggiungono generano sentimenti controversi di
angoscia e di pietà a prescindere dalla bandiera. Purtuttavia una differenza
c’è: gli ucraini hanno una forte motivazione patriottica per morire, i russi no.
Quindi, l’orrore della morte risulta più pesante per i soldati della
federazione capitanati da Putin. Le giovani vite russe, a volte mischiate a
galeotti e mercenari sanguinari che combattono e muoiono per una causa stolta,
generano costernazione e profondo dolore, a prescindere dalle decorazioni che
vengono distribuite a manica larga, e che un domani non è escluso che dovranno
essere nascoste al pubblico perché contraddistingueranno la partecipazione a
una campagna militare scellerata.
Un’aggressione quella russa, figlia di una impacciata grandeur
simil imperiale, assolutamente anacronistica in un puzzle europeo, incrociando
le dita, fino a ieri sufficientemente pacificato. Orribili pure le vendette
sulle popolazioni inermi, costrette a subire violenze per non aver voluto
lasciare quel poco che avevano nella grande pianura ucraina. Massacri e
distruzioni massive e fosse comuni infatti, costeggiano le zone rurali ucraine,
comprovando l’inutile banalità del male.
L’ex agente segreto barricato al Cremlino, oggi capo
indiscusso, agita periodicamente e con nonchalance lo spettro del nucleare
soprattutto per tenere a bada la Nato e quei paesi che temono una sua vittoria
nel conflitto in corso, e che per questo provano a intervenire cedendo armi e
monete ma senza mettere gli scarponi nel fango delle trincee. L’improvvido zar
del XXI secolo, ha fatto occupare militarmente la centrale nucleare di
Zaporizhzhya (Ucraina), forse minandola preventivamente, facendola così
diventare una potenzialità dissuasiva per il mondo intero: le particelle
radioattive infatti, come la cenere vulcanica, sono preda dei venti e non si
fermano ai confini amministrativi.
Dal canto suo l'ex presidente russo Dmitry Medvedev, oggi
nel ruolo di un malefico Rasputin, ha lasciato intendere la possibilità che
Mosca utilizzi le armi nucleari, se l’esercito di Kiev non si lascerà
sopraffare. Della serie: o vinciamo o vinciamo per forza. Come se non bastasse,
Putin ha ingaggiato una guerra del grano per esacerbare gli animi mondiali,
soprattutto di quella parte di popolazione che affolla il sud del mondo, e che
per questa necessità primaria e in assenza di accordi, sarà costretta a barcamenarsi
tra le diplomazie mondiali e ad emigrare per sopravvivere. L’impero della
stella rossa vuole il monopolio del grano: un obiettivo che tenta di raggiungere ostacolando il suo diretto competitor,
l’Ucraina, attraverso il martellamento a missili di porti e ferrovie e silos. Questi
ultimi tentano di rendere pan per focaccia disturbando il traffico marittimo
nel mar Nero.
Il dibattito nel nostro Paese verte sulla posizione
atlantista dell’Italia, giudicata dai detrattori politici come eccessivamente
asservita all’America, con qualche giornale che assicura che le posizioni
governative sono dettate dall’agenda americana piuttosto che da un convinto ed
equidistante posizionamento strategico sul conflitto in corso. Nessuno si
sofferma sulla constatazione che non avendo armi nucleari, dobbiamo giocoforza
usufruire dell’ombrello atomico altrui per difenderci da minacce globali. Sia
sempre da monito il famoso concetto racchiuso nella espressione di Plauto: homo
homini lupus, che avrebbe definito il guerreggiare attuale come la guerra
degli asini. Del resto, a fronte di certi personaggi, sventolare diritti e
costituzione e giustizia serve al “resto di niente”, tanto per rimanere
nel solco delle citazioni…
La quantità di testate nucleari in possesso di Stati Uniti e
Russia, è numericamente sufficiente per annichilire l’esistenza umana sul
Pianeta. D’altro canto, il deterrente nucleare ha la caratteristica di dover
essere per forza di cose di pronto impiego operativo, tant’è che c’è sempre il
dilemma per i meglio armati, se procedere nei momenti di crisi ad attacchi che
anticipino l’azione offensiva del nemico, o cogliere coi satelliti il
preriscaldamento dei missili intercontinentali dell'avversario per reagire
tempestivamente scatenando l’apocalisse. Da qui il concetto che difficilmente
una guerra nucleare potrà prevedere un vincitore, per la quasi simultaneità
delle azioni di attacco e di contrattacco, con i sommergibili di entrambi gli
schieramenti pronti a lanciare missili senza offrire posizione predeterminata.
L’utilizzo dell’arma atomica ha l’orrido presupposto che si
annientano eserciti, ma anche popolazioni inermi, incolpevoli, a volte
inconsapevoli, e loro malgrado trascinate nel disastro termonucleare o in
quello neutronico dove le cose lontane dal centro esplosivo rimangono intatte e
a perire è solo il DNA della materia vivente.
Occorrerebbe un movimento mondiale che allarghi di molto la
lotta ai cambiamenti climatici, comprendendo nel paniere ideologico del
sopravvivere anche le variazioni climatiche dettabili dall’utilizzo delle super
armi atomiche, soprattutto se queste sono assoggettate a propaganda politica e
peggio ancora religiosa.
Fanno ridere le grandi super potenze quando vantano con
l’armadio pieno di testate nucleari, tra cui spiccano la bomba zar e magari a
voler dare un nome all’ordigno dell’antagonista, quella Lincoln, di aver messo
al bando armi chimiche e batteriologiche e bombe a grappoli e mine antiuomo
considerate amorali. I cinque membri permanenti dell’ONU con diritto di veto
saranno pure le nazioni uscite vincitrici dalla seconda guerra mondiale, ma in
realtà sono quelle meglio armate, cioè quelle provviste di grandi quantitativi
di testate atomiche. È questo potenziale distruttivo che ha portate allo
scranno ONU più alto i cinque cavalieri dello zodiaco? O la loro
superiorità è da ricercarsi ed ascriversi esclusivamente alla collaudata moralità
e saggezza che li contraddistingue, o magari nelle radicate logiche
dell'uguaglianza e dei diritti dell'uomo di cui si fanno specchiati portatori? La politica mondiale oggi nasce da questi
stati che si auto applicano il veto quando gli conviene. Occorrerebbe cambiare le
regole per recuperare un briciolo di credibilità mondiale e di giustizia a
tutti i livelli.
Gli ordigni termonucleari dicevamo sono capaci di generare
catastrofi planetarie e con esse inverni nucleari che durerebbero a lungo
causando estinzioni di massa della maggior parte degli esseri viventi. Queste
armi così potenti, stranamente, potrebbero avere un senso per la difesa estrema
da grandi meteoroidi o da asteroidi, qualora si presentasse la necessità di
frantumare o deviare i pericolosi corpi celesti che hanno la caratteristica di
essere una minaccia per l’intero globo terrestre e senza alcuna
differenziazione circa la posizione geografica degli esposti. Russia e America potrebbero essere chiamate
alla cooperazione mondiale in caso di minaccia cosmica, non solo per il loro arsenale
atomico, ma anche per la loro collaudata esperienza spaziale. Paradosso dei
paradossi o ironia della sorte, una tale eventualità catastrofica potrebbe
ricompattare moralmente l’umanità. Il pericolo globale proveniente dall’esterno
sarebbe la più grande arma per mettere insieme potenze e superpotenze rissaiole,
che si troverebbero di fronte a tematiche di resilienza terrestre estrema e
indifferibile, tanto da costringerle a scendere precipitosamente dal loro
scranno atomico, senz’altro promotore di supponenza.
La nostra convinzione è che finché esisteranno divari
economici tra i popoli, difficilmente si raggiungerà una pace mondiale; e
quindi, senza un livellamento delle condizioni di vita, con accesso al cibo e
all’acqua e all’energia e alla salute e all’istruzione a favore di ogni singolo
individuo portatore di diritti senza alcuna esclusione, le guerre o anche gli
esodi incontrollabili saranno una costante dei nostri tempi e in quelli a
venire. Se riusciremo ad arrivare in futuro a un giusto equilibrio tra risorse
e diritti, sarà più facile abbattere i muri, quei confini anche fisici che
separano le comunità in lotta che troveranno benefici nella pace e nella
pacifica convivenza. Israele per dirne una, porrà fine alle armi quando
abbatterà i muri che la separano dai palestinesi, perché a quel punto toglierebbe
ai “ribelli” il motivo del contendere semplicemente condividendo suolo e
risorse: si darebbe così corso alla cosiddetta integrazione dei popoli. Alla
base di ogni prospettiva di pace c’è la democrazia, che non sarà il bene
assoluto, ma un buon inizio per la civiltà dei diritti dell’uomo, quale viatico
ineludibile per qualsiasi forma di governo visionario: I have a dream,
gridava il reverendo Martin Luther King davanti al memoriale Lincoln, cinque
anni prima di essere assassinato… Ma non è detto che la speranza, il sogno,
debba avere sempre un tale funesto epilogo.
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