venerdì 1 settembre 2017

Terremoto Ischia: dèfaillance scientifica...


Ischia: Monte Epomeo
 
Terremoto a Ischia: dito contro chi…?

Le scosse sismiche che hanno segnato profondamente l’abitato di Casamicciola Terme, nella loro gravità non scevra da gravi conseguenze, hanno consentito innanzitutto ai distratti di mettere il dito nella piaga dell’abusivismo edilizio e non solo a Ischia. Sull’isola si contano 27000 domande di condono… Le richieste di sanatoria non riguardano solo case ex novo ma anche opere cosiddette minori, che hanno  contribuito a rendere più di qualche edificio maggiormente vulnerabile alle sollecitazioni sismiche.

Le case a nord dell'isola non sono state risparmiate dalle conseguenze del sisma del 21 agosto 2017, perché i terremoti anche di modesta magnitudo che si abbattono a Casamicciola, hanno la caratteristica di produrre scuotimenti superficiali della crosta terrestre, col fuoco sismico che deflagra praticamente sotto i piedi degli abitanti.

Le varie interviste televisive offerteci dalle dirette, ci hanno mostrato sindaci petto in fuori a difendere obtorto collo l’operato della politica e delle istituzioni locali, tentando di smontare fino in fondo le teorie e i j’accuse contro l’abusivismo edilizio e i condoni facili.

Certamente una delle vittime del sisma ha perso la vita nel franamento della chiesa abbandonata già dal terremoto del 1883; è ovvio che tale manufatto non c’entra con l’abusivismo, ma è altrettanto vero che le opere in murature ancorchè pericolanti, quando si aggettano sulle vie di transito sono delle vere bombe a orologeria che andrebbero disinnescate attraverso il puntellamento o la demolizione preventiva del manufatto.

Una zona sismica che ha registrato terremoti molto distruttivi soprattutto per caratteristiche focali puntiformi, dobbiamo considerarla alla stregua come una spada di Damocle vulcano tettonica gravante a permanenza sull’abitato esposto. Quindi, il passare del tempo non sminuisce il rischio incombente, così come sui tempi di ritorno del fenomeno non ci si può fare un grande affidamento, innanzitutto perché non sappiamo se i sommovimenti litosferici hanno dissipato tutta l’energia immagazzinata in loco. E’ appena il caso di ricordare che abbiamo a che fare con fenomeni sismici la cui origine riguarda l’imperscrutabile sottosuolo chilometrico.

Lo scenario che si è presentato subito dopo l’evento sismico di Casamicciola, è quello solito post catastrofe, ma con una popolazione che è rimasta letteralmente scioccata da un evento che non riteneva potesse più accadere dopo un trascorso di 134 anni dal micidiale terremoto del 1883. Un terremoto che in ogni caso i casamicciolesi moderni non hanno conosciuto sulla propria pelle.

Secondo un modo d’essere degli uomini, gli eventi vulcanici e i terremoti col passare dei decenni di clemenza geologica vengono rimossi dalla concezione tutta umana del pericolo. Ad allertarci infatti, sono prevalentemente i sensi, ma purtroppo i terremoti giungono sempre improvvisi e impercettibili e quindi sempre inaspettati. Da qui l’esigenza di agire di prevenzione attraverso l’irrobustimento strutturale delle magioni che ci ospitano, compreso ovviamente uffici pubblici e luoghi di culto.

La comunità scientifica ritiene troppo spesso di aver esaurito il suo compito a proposito delle calamità naturali, semplicemente consegnando le relazioni scientifiche agli organi territoriali, dipartimentali  e di governo. I sindaci, generalizzando, ricevono queste pubblicazioni o le indicazioni da parte di organi sovra ordinanti, tentando una mediazione tra la realtà che gli viene prospettata e le promesse elettorali. Ne esce soventemente fuori un pastrocchio poco virtuoso che non va nella direzione della salvaguardia individuale e collettiva, ma più concretamente nella direzione del consenso elettorale. I condoni edilizi ne sono un esempio, e la mediazione consiste nel propinarli con la foglia di fico del distinguo, tra abuso di necessità da quello speculativo… A livello regionale campano si spinge per formule che non prevedano l’abbattimento delle opere abusive, attraverso fantasiosi espedienti che in ogni caso non riescono a far quadrare il cerchio a proposito dell’ubicazione di certi manufatti all’interno di zone altamente pericolose come quella vesuviana. Concettualmente il governatore disquisisce sull’argomento ricordando che non ci sono cave a sufficienza per depositare le macerie di tutti gli abbattimenti. Ragionando per paradosso e senza accostamento tra i due fenomeni, e come dire se non ci sono prigioni a sufficienza meglio non arrestare i criminali…

Per dare un ulteriore esempio tra scienza e politica, un accenno all'area vulcano calderica dei Campi Flegrei è d’obbligo: qui c’è una zona rossa ad alta pericolosità vulcanica sancita dallo Stato dove ancora non c'è un vincolo anti cemento ad uso residenziale. Eppure parliamo di una plaga dove il manometro del rischio eruttivo oscilla di continuo, bollettino dopo bollettino, come il suolo che in passato si alzò tanto destando non poche preoccupazioni nelle autorità che sfollarono i puteolani del centro storico, perno della zona rossa, alla zona rossa di Monteruscello.

Oggi l'argomento clou nel flegreo è la cabina di regia contesa da più enti e amministrazioni per utilizzare, secondo le logiche del “rinnovamento urbano”, i suoli di Bagnoli (Campi Flegrei), senza escludere l'insediamento di nuovi residenti nella caldera del super vulcano insofferente, che sbuffa anidride carbonica a tonnellate e per questo destinatario del vigente livello giallo di attenzione vulcanica...

Il problema allora a Ischia come altrove è sempre il cemento… Generalizzando, al richiamo del maledetto oro grigio nessun partito politico resiste, perché a prescindere se trattasi di abusivismo edilizio o di licenza facile, quindi di distrazione nella vigilanza o di concessione, il sistema cementizio nel suo insieme dirotta notevoli consensi elettorali nonostante fagociti territori in danno della collettività a cui prima o poi la natura presenterà un conto.

La classe politica isolana coi suoi 64.000 abitanti è stata sbalzata sul tavolo degli imputati senza che sia stato mai fornito alle autorità comunali uno scenario di rischio. Nel vesuviano gli scenari ci sono ma sottovalutati, mentre il flegreo è stato segnato come pericoloso ma senza nulla interdire nel territorio calderico, che doveva essere destinatario di un provvedimento regionale anti cemento in concomitanza della classificazione statale di zona rossa. La classe scientifica o dipartimentale o commissariale deputata acché un evento naturale non si trasformi in catastrofe dovrebbe pur vedere queste inadempienze o incongruenze come dir si voglia…

Gli ischitani devono ricordarsi della spada di Damocle e riedificare a Casamicciola Terme con grande lucidità e tecniche ben precise. Le macerie si utilizzino per allargare porti che devono costellare i quattro punti cardinali dell’isola onde rendere agibile almeno un approdo in caso di inclemenze meteorologiche o di inagibilità delle strade che circumrotano l’isola. Sui quattro punti cardinali magari a ridosso dei porti devono essere realizzate anche le elisuperfici. Naturalmente si privilegeranno nella tempistica le opere strutturali e infrastrutturali rivolte alla vicina Pozzuoli.

La comunità scientifica deve redigere gli scenari di rischio sismico e vulcanico per l’isola d’Ischia, mentre i sei comuni ischitani dovranno stilare intanto il piano d’emergenza comunale provvisorio, con indicazione delle strutture da utilizzare all’occorrenza come punti di ricovero o di raccolta, e soprattutto e in ogni caso dovranno formalizzare un protocollo d’evacuazione tenendo in considerazione la condizione peggiore in termini di magnitudo e numero di abitanti e l’agibilità attuale dei porti. Un’evacuazione che dovrà essere riservata ai soli dimoranti e non alle loro automobili che ritarderebbero e ingolferebbero pericolosamente gli approdi.

L’Osservatorio Vesuviano dovrebbe rivedere tutta la sua organizzazione per sovrintendere e per quanto di competenza alla sicurezza dei cittadini napoletani e metropolitani. Tale struttura di ricerca e monitoraggio dell’INGV, è inconcepibile che basi la sua organizzazione sulla reperibilità del personale scientifico. La realtà napoletana non lo consente. Il personale competente deve attendere a compiti di sorveglianza attraverso turnazioni che vedano il sismologo e il vulcanologo di turno in sede 24 ore su 24, ben sistemati nella loro piccola stanzetta di guardia. Nel caso del sisma ischitano, le prime analisi dello scadente sistema di triangolazione incredibilmente suscettibile ai Black out elettrici, hanno dato l’epicentro a diversi chilometri a nord di Ischia. Il caso poteva contemplare che lo dessero a diversi chilometri a nord est di Ischia, in questo caso sotto la cittadina di Pozzuoli: il che avrebbe avuto sicuramente un altro significato…

A volte le dimissioni servono non perché una persona sia incompetente, bensì semplicemente che non è portata a un ruolo operativo che prevede il massimo dell’efficienza nel minore tempo possibile che non si misura a giorni.

Quando i collegamenti televisivi avvengono in diretta dall’Osservatorio Vesuviano, molto spesso hanno come sfondo una sala di monitoraggio imponente: innegabilmente da grande effetto mediatico… Tutto qui!
Osservatorio Vesuviano: sala monitoraggio

 


 

 

lunedì 28 agosto 2017

Giulio Regeni e le demo dittature.



Giulio Regeni: demo dittature a confronto.

Il caso Giulio Regeni è una di quelle storie dove s’intrecciano i peggiori scenari legati agli interessi pseudo politici di quei paesi dove a prevalere sono forze e logiche che nulla hanno di democratico, e anzi esercitano la violenza per spegnere qualsiasi scintilla di democrazia o di autodeterminazione che possa scoccare in un popolo oramai con ben poche speranze di uscire nel breve dalla gogna dittatoriale.

In Egitto ogni anelito di democrazia e di giustizia ha dovuto fare i conti con i vari presidenti che hanno campato e governato attraverso gli stati di emergenza, stringendo il popolo e le sue due inconciliabili anime in un angolo oscuro fatto anche di torture e sparizioni. Qualsiasi voce di dissenso viene sopraffatta, a iniziare dai sostenitori del presidente Mohamed Morsi, rimosso dall’incarico alcuni anni fa attraverso un colpo di stato guidato dall’attuale generale Abdel Fattah al Sisi.

Le proteste non proprio gandhiane dei cittadini a favore di Morsi, furono spente nelle piazze di Rabaa al-Adawiya e di al-Nahda il 14 agosto del 2013 con una violenza senza precedenti, che contò centinaia di morti, come accusa l’organizzazione islamista dei fratelli musulmani.

La realpolitik italiana e non solo italiana, ovvero gli interessi del materiale sull’immateriale, ha consentito di aprire con Giampaolo Cantini le porte dell’ambasciata italiana al Cairo, riallacciando quei rapporti diplomatici con l’Egitto ufficialmente interrotti a seguito dell’ancora inspiegabile assassinio di Regeni. Una ripresa diplomatica riavviata nonostante la scarsa collaborazione dei servizi egiziani, che non hanno consentito agli investigatori italiani di accedere a tutto il carteggio inerente il caso.

Non si conoscono le motivazioni del barbaro omicidio, almeno ufficialmente, così come non si riesce a dare un nome e un cognome ai sicari e ai mandanti che hanno deciso la soppressione del giovane ricercatore nei primi giorni di febbraio del 2016.

Probabilmente Giulio Regeni è stata vittima di servizi deviati ma non si capisce in quale direzione. Le lotte intestine al Cairo portano grande confusione, perché il controspionaggio pare che sia legato all’organizzazione dei fratelli musulmani, diversamente dall’intelligence militare fedele invece al generale Al Sisi. Tra i due estremi i simpatizzanti…

Certamente gli interrogativi su questo tragico omicidio sono tanti e ancora senza risposte, come ad esempio perché mai è stato consentito il ritrovamento del ragazzo quando poteva essere facilmente trasformato in una sorta di desaparecidos del Nilo? Il corpo inanime serviva quindi per indirizzare le colpe nella direzione governativa? Perché poi le sevizie ricevute erano così plateali? Forse per educarne mille o smuovere l’opinione pubblica italiana nella direzione dell’inimicizia col governo egiziano? Perché il ritrovamento è avvenuto in concomitanza con la visita del ministro Guidi in Egitto, in loco con 60 imprenditori per promuovere accordi commerciali? Cui prodest questa morte?  

Il grande business strategico, offerto dal giacimento offshore di metano denominato Zohr, individuato dall’ENI nel mare egiziano nel 2015, è un ulteriore fattore di confusione, perché potrebbe essere alla base di qualche appetito di qualche grande democrazia occidentale che vanta virtù democratiche e poi bombarda la Libia.

Tra l’altro potrebbe anche essere che i destabilizzatori di professione possano aver tramato per evitare che l’Italia possa accordarsi con l’Egitto per mettere ordine nel disordine libico. Intanto il turismo tira poco sul Mar Rosso e c’è bisogno di contante. Sui giacimenti aeriformi c’è chi vola in tondo.  L’energia del futuro per molti anni dovrà vivere di metano, che oltre ad offrire quantità interessanti garantisce anche ottimi compromessi per la riduzione dell’inquinamento atmosferico globale. Un grande giacimento di metano vale ben più di un consolato chiuso…

Vien da pensare allora ad un grande immondezzaio mondiale, dove tutti fingono di essere quello che non sono e dove tutti per accaparrarsi benevolenze e influenze e contratti energetici, venderebbero le mogli per pochi cammelli. Figuriamoci quali scrupoli possano aver avuto coloro che hanno giustiziato il giovane italiano semplicemente entusiasta delle possibilità offertegli dalla enigmatica Cambridge, e che mai avrebbe pensato di essere immolato inconsapevolmente su qualche altare delle spy storie internazionali, oppure su quello ancora più violento delle diatribe interne egiziane fatte di colpi di stato e di repressioni e diffamazioni o su quello non meno drammatico della migrazione e dei conflitti areali. Quanta primavera araba sia sbocciata nella terra delle piramidi, Regeni non ha avuto il tempo di scoprirlo fino in fondo…

Respingere il ricatto energetico in nome di una giustizia universale che richiede che i colpevoli di un delitto vadano individuati e puniti e che non si parla e non si intrecciano affari con i sicari e i loro mandanti, vorrebbe significare che il nostro Paese è duro e puro.

In realtà in Italia non solo non siamo così duri e puri, ma soprattutto non abbiamo molte alternative energetiche nonostante le forsennate operazioni di trivellazioni che stanno sconvolgendo la Penisola mare compreso... Vogliamo mettere al bando il gassoso Egitto perché non ci fornisce atti e documenti relativi al caso Regeni?  Il fatto che non ci consentano di accedere ai faldoni d’intelligence, per noi cittadini di una repubblica democratica fondata sui diritti sanciti dalla carta costituzionale è inconcepibile. Siamo uno stato di diritto basato su una matura democrazia; uno Stato repubblicano dove i cittadini scelgono con libere elezioni i loro rappresentanti che dovranno poi forgiare al meglio quelle istituzioni tanto care al Mazzini, quale strumento unico di felicità terrena.

Nel nostro ordinamento giudiziario e amministrativo dalla lunga tradizione dicevamo, l’accesso agli atti soprattutto personali ad oggetto la persona anche in senso prognostico, è un elemento dicono di grande certezza democratica, negato solo ed eccezionalmente se viene compromessa la sicurezza della nazione o dei suoi apparati.

E allora bisognerebbe che qualcuno spieghi a un cittadino incensurato di questa repubblica democratica, incensurato e neanche rivoluzionario, perché gli è stato proibito di accedere agli atti, ovvero a una relazione stilata da una stazione dei Carabinieri e da un Commissariato di Polizia, poi secretati dall’ufficio di governo periferico senza alcun motivo di ordine e sicurezza pubblica. Una vicenda in realtà che dimostra come nella nostra repubblica viga comunque una certa aristocrazia istituzionale che inquadra il popolo (popolino) titolare di ben pochi diritti e soprattutto potenzialmente candidabile alle logiche dell’arancia meccanica istituzionale, nonostante le attività del senatore Manconi in difesa dei diritti dell’uomo.

Dopo un’estenuante corrispondenza, un parziale successo c’è stato e costui di cui conosciamo perfettamente le generalità, ha potuto accedere agli atti secretati che lo riguardano, ma senza poterne estrarre copia. A leggere una di quelle relazioni, sono sicuro che la Signora Regeni avrebbe annullato il viaggio in Egitto… Gli valga il conforto che in nome di Giulio si è preteso e probabilmente ottenuto l’affermazione di un diritto!


sabato 15 luglio 2017

Vesuvio: 2017 il grande rogo...

2017 - Vesuvio post incendio

Vesuvio: il grande rogo… di MalKo 

Ciò che è successo sul Vesuvio in termini di incendi è un esempio concreto di cosa significhi la disorganizzazione nella gestione delle emergenze. Fiamme che già l’anno scorso avvilupparono il vulcano più famoso del mondo, senza per questo insegnare nulla, ma proprio nulla a coloro che pur rivestendo delle cariche importanti nella gestione amministrativa e operativa del territorio, poco o niente hanno fatto per correre ai ripari dal subdolo pericolo fuoco, né tantomeno hanno abbracciato la prevenzione come strada maestra per fronteggiare le catastrofi ambientali di matrice antropica.
Il fenomeno dell’autocombustione non ci appartiene perché un foglio di carta per bruciare ha bisogno di 230°C. La legna necessita di almeno 300°C. Per quanto rovente possa essere quest’estate senza piogge, ancora non siamo arrivati alle temperature di oltre 400°C. che si registrano sulla superficie del pianeta Venere. Quindi, l’aiutino per appiccare incendi giocoforza vede la preponderante e malefica mano dell’uomo. 
Per agire di prevenzione su di una zona che s’intende proteggere dal rischio incendio boschivo, come dovrebbe essere quella di un parco nazionale come il Vesuvio, oggi definibile parco metropolitano o cittadino per la profonda conurbazione che lo circonda, innanzitutto è necessario dotarsi di strumenti a rapida rilevazione del fumo o del calore. Parliamo quindi di telecamere che operano sulla frequenza del visibile e sugli infrarossi.
Se non si vogliono adottare sistemi di telerilevamento, occorre sostituire le telecamere con l’occhio umano, cioè affidare compiti di vigilanza a un certo numero di addetti armati di binocolo e telefono o radio, magari posizionati su torrette ubicate in luoghi strategici del territorio.
Un altro sistema ancora, che potremmo definirlo dinamico e interattivo, consiste nell’impiegare squadre antincendio che effettuino servizio di ronda non cadenzati sui sentieri da proteggere, utilizzando mezzi fuoristrada, tipo jeep o pickup attrezzati per estinguere eventuali principi d’incendio sul nascere.
Quale di questi sistemi sia stato applicato all’interno del Parco Nazionale del Vesuvio non lo sappiamo, ma la scoperta di pompose ville abusive costruite nel perimetro protetto, così come lo scarico di rifiuti ed elettrodomestici e ancora di calcinacci disseminati in ogni dove, non depongono a favore di una efficace opera di controllo del territorio. E se non si controlla il territorio, vandalizzano o rubano le telecamere semmai s’installano, oppure rapinano le vedette alla stregua di alcuni episodi che hanno visto vittime gli agricoltori della zona.

2016 - Vesuvio in fiamme visto da Castellammare di Stabia
I motivi per i quali l’arcinoto vulcano sia diventato una torcia insieme ai versanti acclivi del Monte Somma possono essere veramente tanti. Generalmente la siccità e quindi il fogliame e il sottobosco secco, sono terreno fertile per l’azione colposa dell’uomo. La cicca buttata via dall’auto in corsa o durante un’escursione a piedi, può essere innesco per le fronde rinsecchito e minute.  C’è anche chi appicca furtivamente il fuoco ai cumuli di rifiuti resi maleodoranti dalla calura estiva, senza rendersi conto che le fiamme possono dilagare attraverso le faville portate via dal vento, oppure assumere sul posto stesso una virulenza tale da diventare incontrollabili.
C’è poi la parte spiccatamente dolosa degli incendi, che potrebbe essere legata all’industria dell’antincendio e della riforestazione. Un’ipotesi raccapricciante per la verità, che necessita di prove precise e documentabili. In altre parti si appicca la boscaglia per dispetto; certe volte invece, taluni danno fuoco alla macchia improduttiva per generare pascolo o altre piante che danno frutti monetizzabili, o anche per favorire la crescita degli asparagi secondo una convinzione piuttosto diffusa tra i cercatori delle appetitose liliaceae.
E ancora c’è chi dà fuoco alla macchia per rendere una determinata zona inedificabile per assicurarsi il panorama, oppure per esprimere un malcontento per la mancata concessione del condono edilizio. Una sanatoria in realtà che in questi comprensori soggetti al pericolo vulcanico dovrebbe essere tecnicamente inapplicabile, perché lo Stato non può, ovvero non potrebbe cadere nel ridicolo sanando residenze abusive in una zona (rossa), dallo stesso Stato definita ad alto rischio vulcanico per la possibilità di essere invasa dalle micidiali colate piroclastiche. Altri dissensi potrebbero provenire dalle operazioni amministrative di confisca delle case abusive da acquisire poi al patrimonio disponibile dello Stato. Una proposta regionale (Campania) impugnata dal governo, prevede infatti di risolvere i problemi di sanatoria togliendo amministrativamente la proprietà all’abusivo facendolo così diventare affittuario pur se dimorante su un cratere avventizio fumante…
L’anno scorso i piromani hanno attaccato prevalentemente il territorio di Terzigno: è un indizio.  Questa località è nota per l’abusivismo edilizio e per la discarica ex cava Sari ubicata all’interno del Parco Nazionale del Vesuvio ai confini con Boscoreale. Alcuni anni fa ci fu una querelle violenta tra le istituzioni capeggiate da Bertolaso e la popolazione che espresse tutto il suo dissenso alla spregiudicata iniziativa governativa. Tutto nacque a causa di una improvvida decisione di un amministratore di rango terzignese, che consentì o comunque favorì o comunque non si oppose alla realizzazione di una megadiscarica sui territori di Terzigno ricadenti nel perimetro del parco nazionale Vesuvio. Un invaso che all’inizio emanava un olezzo che a definire rivoltante era puro eufemismo. Per mitigare rivolta e atti vandalici, il commissario ai rifiuti Bertolaso fu costretto ad usare pugno duro ma soprattutto odorizzanti aspersi a larga mano e tecniche rapide di ricoprimento dei rifiuti su cui volavano a cerchio paffuti gabbiani.
Riempita la discarica con un milione di metri cubi di spazzatura, il metano prodotto dalla decomposizione dei rifiuti viene bruciato in un contiguo impianto di termovalorizzazione (biogas). Un unicum che non aveva e forse ancora non ha, un piano di emergenza per fronteggiare una possibile fase di allarme vulcanico.
Intanto hanno notato che il registro delle malattie oncologiche del comprensorio segna un incalzare delle patologie incurabili subito associate dalla popolazione, a torto o a ragione, ai veleni accumulati nei terreni e nell’aria. Ogni famiglia dicono, annovera un caso letale alla stregua delle più classiche epidemie influenzali…
Non è difficile ipotizzare che chi ha dovuto registrare nel proprio nucleo familiare un lutto dovuto alla vicinanza col sito di stoccaggio rifiuti, che in realtà si chiama ahimè e nella sua interezza Vesuvio, possa aver coltivato una sorta di desiderio di vendetta o di giustizia estrinsecata poi con la volontà di bruciare quel male assoluto, identificato nelle zone pedemontane dove riposano bare di rifiuti interrate in fosse abilmente preparate dagli escavatori e poi mimetizzate con lo stesso lapillo vulcanico e, quindi, introvabili.
Il fuoco è anche un elemento di stizza verso un Vesuvio che per mille ettari è circoscritto dalle reti che vietano il transito pedonale all’interno dell’area della riserva Tirone Alto Vesuvio.  Un’oasi naturalistica di protezione forestale che sopravvive all’interno dei 7000 ettari del parco nazionale Vesuvio. Una zona strategica per la biodiversità, protetta e inaccessibile se non dai bus turistici a trazione integrale che si muovono accedendo dalla strada Matrone di Boscotrecase, grazie a potenti motori diesel.  Un connubio che prende a calci in faccia qualsiasi trattato protezionistico della natura… I sussulti delle potenti carrozzerie rinforzate infatti, fanno addirittura impazzire i sismografi dell’Osservatorio Vesuviano posti lungo il versante meridionale del vulcano.
Un po’ di anni fa, all’ennesimo incendio localizzato a Boscotrecase (Vesuvio), ci trovammo quasi a ridosso del focolaio avendo così la possibilità di calcolare i metri quadrati di vegetazione in fiamme e il numero di lanci effettuati dai Canadair in azione. Orientativamente, per spegnere un incendio ad oggetto una vegetazione folta e di media altezza e alberata, calcolammo con grande approssimazione che occorrevano circa 175 litri d’acqua a metro quadrato. Quando la superficie interessata dalle fiamme comprende combustibile (alberi e macchia mediterranea) che si erge in verticale, occorre considerare la superficie arborea come una superficie particolarmente ondulata… Bisogna anche considerare come variante peggiorativa dell’azione antincendio, che l’acqua sui suoli vulcanici non ristagna e non scivola: bensì sprofonda letteralmente. Essendo la legna un buon isolante poi, spesso si riaccende per migrazione del calore in superficie, esattamente come succede per i pneumatici.
Per poter spegnere un incendio su zone rocciose e miste e acclivi come quelle vesuviane, occorrono certamente i mezzi aerei che portano l’acqua lì dove non ci sono risorse di questo genere, e sul Vesuvio non ci sono…Purtuttavia è anche necessaria un’opera di bonifica terrestre per scongiurare le riaccensioni. Occorrono strategie interventistiche quindi, avendo cura di aspettare e fronteggiare il fuoco su un luogo magari meno acclive oppure dove la vegetazione è meno densa e bassa, per dare il colpo di grazia alle fiamme già abbattute dai lanci effettuati da aerei ed elicotteri. A terra si opera con atomizzatori spallabili o nebulizzatori e pale o decespugliatori e motoseghe per creare ove necessario una zona d’attesa spoglia. 
Gli aerei Canadair (CL-415), hanno una capacità di carico di circa 5000 litri d’acqua che carpiscono scivolando con la pancia sulle distese marine o di laghi abbastanza ampi e larghi da consentire il successivo decollo a pieno carico dell’aeromobile.

elicottero AB 412 Vigili del Fuoco 

Gli Eriksson s64f sono anch’essi elicotteri (sembrano ragni), ma con una grande capacità di carico, che nell’antincendio boschivo significa poter aspirare e trasportare e poi sganciare sulle fiamme ben 10.000 litri d’acqua. Gli elicotteri però, occorre ricordarlo, hanno ingenti costi d’esercizio.
Se il fronte delle fiamme rasenta invece una sede stradale, i camion antincendio soprattutto a trazione integrale, sono insostituibili per intervenire con i naspi e le manichette anche se l’incendio è lontano alcune centinaia di metri di distanza dal veicolo.
In tutti i casi, la possibilità di approvvigionamento del prezioso liquido (vasche o cisterne o pozzi) è alla base del sistema antincendio. Lo stesso dicasi dei viali tagliafuoco e dei sentieri carrabili utilizzabili dai fuoristrada. Così come le vedette antincendio e le telecamere e i divieti e i controlli, sono tutti elementi che possono essere messi in campo attraverso un’attenta pianificazione preventiva per la lotta agli incendi boschivi. I tavoli strategici non si possono organizzare quando il fuoco sul Vesuvio è in una fase di disastro ambientale… Non si possono stipulare convenzioni con i Vigili del Fuoco alcuni giorni dopo l’immane rogo.
La condizione di proliferazione degli incendi boschivi ancora in una fase acuta nel meridione d’Italia, necessita di un sistema di ronde e di vigilanza e di una organizzazione antincendio ben lubrificata, almeno fino a quando le piogge autunnali non renderanno poco efficace l’azione dei vandali incendiari, tanto sul Vesuvio quanto su altri rilievi e colline che punteggiano il nostro panorama mediterraneo.  
Per concludere occorre prendere coscienza che sul famoso vulcano c’è bisogno che lo Stato faccia sentire la sua presenza, perché è un territorio appetibile tanto dal business quanto dal malaffare. Il Ministro Galletti incominci ad approfondire le varie anime controverse che esistono negli oltre 7000 ettari di parco nazionale del Vesuvio, il cui cuore vegetale è caratterizzato dai circa 1000 ettari di riserva naturale forestale di protezione chiamata Tirone Alto Vesuvio diventata terra di transito per i bus turistici.
Si verifichino tutte le autorizzazioni di servizi vari e di ristoro e di trasporto per ripulire il vulcano più famoso del mondo da una strana patina gelatinosa che sembra avvolgerlo…ripulirlo anche materialmente dall’immondizia aiuterebbe pure la repressione degli incendi, dando così decoro a un vulcano che nella sua ricca corona di base porta i segni del passaggio del tempo e dei popoli, ad iniziare dall’età del bronzo come testimoniano orme di piedi in fuga impresse sugli strati di cenere vulcanica databili a 3800 anni fa.
Si verifichi che sul Vesuvio non esistano spazi di extraterritorialità, che non sia una terra di conquista e di abusi e soprusi, perché il terrorismo ambientale perpetrato con gli incendi, potrebbe anche essere una illegale pratica per richiamare l’attenzione istituzionale su di un territorio mestamente lasciato a se stesso, cannibalizzato dalla politica dell’abbandono e dei mancati controlli e delle discariche che ogni tanto emergono come reperti ripugnanti dell’indicibile.