“Giustizia: il primo
anello del processo” di MalKo
La
giustizia è sempre rappresentata come una donna severa e imparziale che della
vita non nutre nessun altro interesse se non quello della funzione per la quale
è stata solennemente incaricata. Nella mano destra stringe la spada
della fatalità e nella sinistra la bilancia. Sovente ha sul capo una
corona perché forse era una regina che ha conosciuto in egual misura il bene e
il male, al punto da essere in grado di pesare minutamente il peso delle colpe
di chi è portato al suo cospetto per essere giudicato. Si dice pure che sieda
tra due colonne che simboleggiano il solstizio della Terra nel suo orbitare,
occupando la parte centrale destinata agli equinozi… davvero un gran bel
simbolo di equidistanza nel cammino spaziale che potrebbe essere quello della
vita. L’equinozio è il punto astronomico dove le ore di luce sono pari a quelle
del buio. Per antica similitudine, fulgore e tenebre, bene e male…
La giustizia non ha il dono dell’onniscienza.
Il suo giudizio quindi, si basa su fatti, prove e testimonianze. La giustizia
poi, basandosi su leggi scritte dagli uomini, presenta delle difformità
globali, in base alle quali si potrebbero subire pene molto diverse dipendenti
dalla latitudine di dove si commettono i fatti. Si pensi ad esempio
all’adulterio… La lapidazione era ed è ancora la pena prevista in alcune zone
del Pianeta. Anche in Italia c’era una discrasia giuridica sull’argomento; poi
si è scoperto che le pene non potevano essere inflitte
alle sole mogli infedeli, poiché anche i mariti potevano avere un atteggiamento
adulterino. La legge è uguale per tutti recita il caposaldo …
Mentre
la giustizia divina si avvale dell’infallibile onniscienza del giudice supremo,
quella terrena invece, richiede un dibattimento tra difesa e accusa con un
giudice terzo che alla fine e come lascia intendere il termine, valuta, pesa,
giudica!
La giustizia per essere giusta dovrebbe essere soprattutto veloce.
In America dove in alcuni stati vige ancora la pena di morte, non passa inosservato
il tempo che passa tra giudizio, condanna ed esecuzione. Il concetto
assolutamente condivisibile proferito dai detrattori della pena capitale, è che
l’autore di un atroce delitto dopo un certo numero di anni non è più la stessa
persona morale. In tal caso si andrebbe a infliggere la pena di morte a un
essere umano che con gli anni ha subito cambiamenti interiori, magari molto
profondi al punto da essere un individuo completamente diverso ed estraneo
all’iniziale personalità violenta.
La pena di morte quindi, sa di barbarie e la troviamo assolutamente
ingiustificata in un mondo tra l’altro votato alla tutela della vita.
L’ergastolo se tale, è una pena congrua per chi si macchia di delitti atroci.
In
Italia non c’è la pena di morte, ma forse neanche la pena ordinaria però. La
giustizia arranca ad affermarsi, a causa di una lentezza che porta molti
processi a morire nelle sabbie della burocrazia… diciamo giudiziaria, che
abbraccia più segmenti dello Stato con una certa incidenza di procedimenti che
si dissolvono per raggiunti termini… Se la giustizia fosse giusta, uno vale
uno, e i processi non richiederebbero l’indirizzo politico delle
priorità. La giustizia sa tanto di carburatore ingolfato e la regina
imparziale invece del bilancino ha il piede poggiato su una stadera, perché di
questi tempi solo le grandi cose in certi luoghi hanno un peso in termini
d’interesse giudiziario. Se Berlusconi non fosse Berlusconi,
probabilmente avrebbe ragione su molti punti che riguardano la macchina
italiana della giustizia…
La sponda americana a proposito di giustizia e
velocità di giudizio, ci viene incontro concettualmente attraverso l’arte
cinematografica che è quella dei sogni e delle realtà ideali e virtuali. In
particolare ci viene in mente un film, con il plateale Sivester Stallone, che rende bene il concetto della giustizia che per essere tale
deve essere inflessibile e veloce. Il film è intitolato Judge Dredd (Il giudice Dredd) .
Se guardate il trailer iniziale,
il nostro eroe blocca i malviventi sul fatto enumerando
sul posto la serie di reati riscontrati con relativa condanna. Il processo che
si compie addirittura sulla scena del crimine, è utopisticamente il massimo
della velocità possibile.
Ovviamente
la strada per arrivare a una tale concezione della giustizia oggi è pura
fantascienza e richiederebbe una diversa connotazione delle forze dell’ordine.
Forse un domani, chissà… Intanto però lo
spunto hollywoodiano consente una riflessione sull’attualità che è
molto burocratica anche in questo campo. In presenza di un reato o di
un’indagine arriva sul posto una pattuglia delle compagini deputate all’ordine
pubblico: Carabinieri, Polizia ed altre forze previste dal nostro
ordinamento istituzionale. Il loro intervento si traduce sempre in un
rapporto di servizio che è alla base dell’instradamento del processo.
La
dabbenaggine o la preparazione giuridica degli agenti allora, è quella che fa
la differenza, perché i giudici spesso si rifanno per le indagini innanzitutto
alla relazione della squadra o della pattuglia che interviene. La nostra
impressione ci porta a ritenere che potrebbe crearsi un circuito virtuoso anche
nel campo della giustizia, se il personale preposto alle indagini di Polizia
avesse un’adeguata formazione giuridica e
una capacità di analisi di fatti, luoghi e circostanze, particolarmente
professionale. La mediocrità, infatti, può creare solo ingiustizia o
malagiustizia; l’eccellenza invece, giustizia e senso dello Stato. Una storpia
e fuorviante relazione d’intervento allora, potrebbe essere addirittura il
virus iniziale che fa battere fiacca alle fasi processuali.
Il
primo grado del processo… il primo anello, su cui si concatenano l’insieme
degli atti e delle azioni susseguenti volte a indirizzare le indagini e
l’azione giudiziaria, ritrova una valenza particolare nella relazione di
servizio stilata dal maresciallo o dal brigadiere o dall’agente. E’ da lì che
molto spesso parte il processo, e non si sa con quale piede…
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